lunedì 8 agosto 2011

ELENA - ЕЛЕНА


Autore: Carlo Spera
Tratto da: 
“Viaggio al termine della notte.
20 anni dopo l'esplosione della centrale di Cernobyl”
Casa editrice: ViediMezzo
Data: 2006

Автор: Карло Спера
Из: 
Путешествие на край ночи
20 лет после взрыва на ЧАЭС”
Издательство: ViediMezzo (Италия)
Дата:
 2006
 г.
К сожалению, русского оригинального текста интервью нет.


ELENA

Direttrice di un’associazione di famiglie con bambini malati di cancro

La nostra associazione è stata fondata quindici anni fa. Noi uniamo le famiglie in cui ci sono bambini malati. La nostra è una società di genitori senza nessun finanziamento da parte dello stato. Sopravviviamo quasi esclusivamente con donazioni straniere.

C’è un perché?

No. Per questo motivo finché avremo aiuti esisteremo, quando non ci saranno più cesseremo di lavorare. Il nostro scopo principale è aiutare il Centro Oncologico Pediatrico di Minsk a raccogliere medicinali e attrezzature necessarie per curare i nostri bambini. In pratica noi riusciamo a far arrivare in clinica i medicinali e le attrezzature mediche che non si riesce a ottenere dallo stato. Vi faccio un esempio: il Centro ci comunica di aver bisogno di un medicinale e noi traduciamo la richiesta e la inoltriamo ai nostri partner stranieri. Poi facciamo tutte le pratiche per ottenere i permessi per fare entrare in Bielorussia quel medicinale. Se il permesso viene accordato il medicinale viene spedito qui e noi lo distribuiamo al Centro. Tutti i medicinali che richiediamo all’estero sono necessari per salvare la vita ai bambini.

Perché fate questo lavoro?

Tutti quelli che lavorano in questa società hanno o hanno avuto problemi in famiglia; tutti noi abbiamo sofferto: il direttore, io, anche quelli che lavorano in magazzino; anche le ragazze che stanno di là in ufficio in passato hanno avuto problemi oncologici. Delle quattro che avete visto tre hanno avuto un tumore. Da piccole erano malate, ma adesso hanno sconfitto la malattia e studiano tutte all’università. Vengono qui da noi per aiutare, per partecipare.
Noi lo sappiamo che i bambini malati di tumore hanno delle possibilità, per questo lavoriamo. Le ragazze che lavorano qui da noi hanno un animo molto sensibile: hanno sofferto e capiscono la sofferenza degli altri. Vengono molto volentieri e si occupano di mille cose. Hanno grandi responsabilità.
Ci sono famiglie che vivono perennemente in guerra con qualcosa: prima fanno la guerra contro la malattia; poi fanno la guerra per inserire nella società il loro bambino che è un po’ diverso dagli altri. Queste famiglie hanno bisogno d’aiuto. L’esperienza mi ha insegnato che gli adulti, quando sono malati, non riescono quasi mai a superare le cure, mentre i bambini sì, perché il loro corpo è più forte. Per questo cerchiamo di aiutarli anche dopo le cure durante il processo di riabilitazione.

Quanto è importante, secondo lei, l’aspetto psicologico per sconfiggere una malattia come il tumore?

È allo stesso livello delle medicine, se non al primo posto. In particolare è di fondamentale importanza il ruolo delle madri: un buon coordinamento tra madre e medico è la cosa migliore per il bambino malato. Sono le statistiche a rivelarlo. Per vincere la malattia serve una forza interiore incredibile. E bisogna avere la volontà di intraprendere una strada bruttissima. È lungo questa strada che l’aspetto psicologico diventa fondamentale.

A volte è più facile lasciarsi andare.

Sì, sì, è così. Noi abbiamo notato che per una buona riabilitazione sono positivi i viaggi all’estero. Il viaggio è sempre uno stress, certo, ma in questo caso uno stress positivo che dà al bambino tante emozioni. Io considero questi progetti di vitale importanza, soprattutto per i bambini di undici-dodici anni. Purtroppo non abbiamo tante possibilità perché gli aiuti sono pochi: nonostante abbiamo contatti con l’Austria, l’Inghilterra e con la Germania non riusciamo a far viaggiare tutti i bambini che ne avrebbero bisogno. Queste nazioni prendono troppi pochi bambini, da un minimo di cinque a un massimo di venti all’anno. Molte persone pensano che i nostri bambini siano diversi dagli altri e che la loro malattia possa essere contagiosa.

Intende dire che c’è gente che pensa che il tumore sia una malattia contagiosa?

Sì, è così. I progetti di risanamento all’estero inoltre possono essere utili al ragazzo perché lo aiutano a capire che non è l’unico ma che ci sono tantissimi altri bambini che vivono nelle sue stesse condizioni. Tra loro, durante i viaggi, si crea un rapporto di amicizia che li aiuta a sentirsi molto più sicuri di sé.

Ma c’è anche chi è contrario a questi viaggi: alcuni ritengono che per i bambini siano dannosi: vanno all’estero, stanno bene, poi tornato in Bielorussia e tutto torna come prima.

Questo non riguarda i nostri bambini.

Ho capito che lei non è d’accordo, ma la domanda era un’altra.

I nostri bambini vivono due fasi nella loro vita: la vita con la malattia e la vita dopo la malattia...

Volevo sapere solo quali possono essere, secondo lei, le motivazioni che spingono alcune persone a fare quelle affermazioni.

Nella nostra società non è un fatto attuale. I bambini che vengono in Italia per i progetti di risanamento sono così pochi che… l’Italia in un anno prende al massimo ottanta bambini. Per grazia di Dio qualcuno nel nostro governo ha capito questa situazione e evita di crearci problemi. Il governo bielorusso ha semplificato l’iter burocratico per questi progetti, ma i partner stranieri hanno ancora molti timori. Le famiglie che ospitano i bambini non vogliono responsabilità.

Cosa la fa arrabbiare?

Niente. Sono solo emozionata.

Intendevo cosa la fa arrabbiare nella vita.

La burocrazia.

A lei fa arrabbiare, a me fa impazzire. La ringrazio per aver nominato la burocrazia: è un argomento che abbiamo tralasciato, ma che per voi deve rappresentare uno dei muri più alti da oltrepassare.

Hai ragione. Sono già dieci anni che lavoro in questa società e l’esperienza mi ha insegnato che tutti i bambini che hanno avuto la possibilità di andare all’estero per un progetto di risanamento hanno ottenuto un risultato positivo. Una cosa molto importante è che lo stato di salute del bambino sia stabile. Per far sì che il progetto funzioni sono tre i fattori fondamentali: che il bambino voglia partire; che la famiglia straniera voglia dare affetto al bambino; e che lo stato di salute del bambino sia stabile. Se il bambino non vuole partire, ma se a spingerlo è la famiglia, l’esito del progetto rischia di essere negativo.

I familiari dei bambini malati qui da voi hanno, se non sbaglio, anche un appoggio concreto che gli permette di risparmiare un bel po’ di soldi.

È vero. Abbiamo delle stanze riservate ai genitori che non abitano a Minsk e che devono venire in città per far curare i loro bambini.

Lo spazio che avete è sufficiente?

Prima avevamo più spazio, poi abbiamo avuto problemi economici e ci hanno tolto alcune stanze. Ma ce la caviamo.

Lo stato non vi aiuta in nessun modo?

Grazie allo stato paghiamo molto meno d’affitto come tutte le altre associazioni. Però devo dire che non ci danno fastidio, e questo è molto importante.

C’è qualcosa che vuole che la gente sappia?

Che abbiamo bisogno di aiuto. Che i bambini hanno bisogno di emozioni positive e dell’amore della gente. Questa scatola che vedete costa duemila euro. Sono attrezzature per il reparto di terapia intensiva. Senza questa scatola non si può salvare la vita ai bambini.

La signora tira fuori un sacco di carte e documenti per dimostrarci la provenienza della merce.

Che rapporto avete con le case farmaceutiche?

Di nessun tipo.

Perché non fate le vostre richieste direttamente alle case farmaceutiche? È stata mai tentata questa strada?

Non lo possiamo fare. Sono i nostri partner che si rivolgono alle case farmaceutiche. Noi non possiamo.

Se ne ha voglia potrebbe raccontarci come visse il giorno in cui esplose la centrale di Cernobyl e come trascorse quel periodo della sua vita.

Mio figlio in quei giorni è stato sotto la pioggia, qui a Minsk. È uscito di casa verso le undici di mattina ed è rimasto fuori per molte ore. Dopo qualche mese ha iniziato ad avere un tipo di polmonite molto strana. Per la verità tutto era molto strano. Nessuno si spiegava quella malattia. Poi il perché l’abbiamo capito. Aveva dodici anni. Il ventisei aprile 1986 ne aveva otto. Dopo quattro anni sono iniziati i primi sintomi e dopo altri quattro anni, nel 1996, la diagnosi era di tumore.

Quando è esplosa la centrale avete avuto informazioni?

Niente. Proprio niente. Lo ricordo con precisione perché lavoravo in una fabbrica ed era un periodo in cui il lavoro era molto intenso. Dovevamo portare a termine i programmi di produzione perché si avvicinava la festa del primo maggio; e il primo maggio tutte le fabbriche e tutte le aziende dovevano fare un rapporto al governo.

Il primo maggio. Una grande festa che poi si è svolta tranquillamente nelle piazze.

Sì, è la verità.

Quindi in quei giorni non eravate preoccupati, non avevate timori di sorta.

Nessuno era preoccupato, io me lo ricordo, tutti i bambini festeggiavano tranquillamente per le strade e sotto la pioggia radioattiva.

Ricorda qualcosa in particolare?

L’aria, bruciava la gola. Però in quel periodo credevamo che la colpa fosse dei pollini; sa, le allergie.

In che misura Cernobyl pesa sulle malattie infantili?

Poco tempo fa è stato dichiarato che tutti i tumori infantili sono una conseguenza del disastro di Cernobyl.

I dati ufficiali sono diversi. Le percentuali sono bassissime. Si dice che tutto sommato questo grande disastro non ci sia mai stato.

Io non posso discutere le percentuali, però posso dare delle cifre: l’anno scorso tra i bambini che hanno avuto un tumore il cinquanta percento erano bambini piccolissimi, da zero a sette anni.

E già questo è un dato importante. Non si erano mai riscontrate percentuali così alte sui bambini.

È vero. Io non so cosa dicono i professori, ma vi ripeto: il cinquanta percento sono bambini e la Bielorussia è un paese troppo piccolo per queste percentuali. Siamo solo nove milioni. Prima la percentuale era dello zero virgola zero zero zero percento. Io non so cosa dicono i professori però… ho in banca dati tutti i bambini che in passato hanno avuto questa malattia… siamo arrivati al giorno che nascono i bimbi dai bimbi di Cernobyl. Vi spiego: la prima metà degli anni ottanta è stato un periodo in cui ci sono stati enormi finanziamenti da parte dello stato a favore delle famiglie. E questo per favorire la nascita di bambini. In quel periodo ne sono nati molti, e nessuno tiene conto del fatto che quei bambini oggi sono in età riproduttiva. Il cinquanta percento dei bambini che nascono oggi sono figli di quei bambini che hanno preso le radiazioni nel 1986. Io ho anche discusso con i professori che hanno il compito di dare le cifre: loro, non so perché, non si rendono conto.

I ragazzi come vivono questa situazione?

Io sono nonna, e mia figlia, quella sana, ha un bambino piccolo. I giovani non hanno paura, fanno nascere i bambini normalmente. Per loro sono più importanti i problemi economici: il lavoro, l’appartamento; la contaminazione per loro non è la cosa più importante.

Mi interessa sapere se i giovani sono al corrente, se conoscono il problema. Insomma, se non preoccuparsi è una scelta.

Sì, si rendono conto. Sanno di vivere in queste condizioni e che non hanno alternative.

Dall’Italia io mi guardo in giro e penso al resto del mondo, alle altre nazioni, faccio i miei pensieri insomma, per voi forse è più difficile…

Il terrorismo… ma come possiamo salvarci da… il problema della Cecenia per me è molto… sono legata a questo problema… abito in Bielorussia da più di trenta anni ma…

Lei è cecena?

Sì, sono cecena.

La signora si interrompe. Dopo un lungo sospiro ricomincia a parlare.

Cernobyl è un problema ecologico che durerà tantissimo tempo. Però è un problema che può essere risolto con l’unione di tutte le risorse scientifiche mondiali. Non è problema dell’Ucraina o della Bielorussia. Sappiamo benissimo che le risorse stanno per finire. In questo periodo stanno discutendo se costruire una centrale nucleare persino qui da noi.

Spero che non la costruiscano.

Anch’io, perché non abbiamo nessuna garanzia.

Mi ha fatto pensare… prima diceva giustamente che è un problema di tutti, non solo della Bielorussia… stando lì l’altro giorno e guardando quel Sarcofago non ho avuto un senso di sicurezza… so che già una parte della struttura ha ceduto sprofondando… quindi il problema è serio… voi sapete tutto questo?

Siamo molto preoccupati. Seguo sempre le trasmissioni e i documentari su Cernobyl. Guardo pochissima televisione, non ho tempo, ma quelli cerco sempre di non perderli.

Se a Cernobyl si verificasse un nuovo incidente sarebbe un vero guaio, anche per noi italiani.

È la verità. Perché voi siete coetanei dei nostri figli. Mio figlio ha ventisette anni e il marito di mia figlia trenta. Il futuro è vostro e la terra resterà ai vostri figli. Dovete pensarci. Purtroppo le politiche parlano diverse lingue. È importante trovare una lingua comune. Il nostro non è un paese molto avanzato, ma siamo educati e pronti al dialogo.

Intervista di Carlo Spera

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