martedì 8 marzo 2011

IGOR' KOSTIN - ИГОРЬ КОСТИН

Autore: Carlo Spera
Tratto da: 
“Viaggio al termine della notte.
20 anni dopo l'esplosione della centrale di Cernobyl”
Casa editrice: ViediMezzo
Data: 2006

Автор: Карло Спера
Из: 
Путешествие на край ночи
20 лет после взрыва на ЧАЭС”
Издательство: ViediMezzo (Италия)
Дата:
 2006
 г.
К сожалению, русского оригинального текста интервью нет.

Дозиметрист замеряет уровень радиационной активности в четвертом энергоблоке (фото: И. Костин).
Dosimetrista misura il livello delle radiazioni nel quarto reattore (foto: I. Kostin).


IGOR KOSTIN

Soprannominato “l’uomo leggendario” dal Washington Post, fu il primo fotografo a raggiungere Cernobyl poche ore dopo l’incidente.

Cernobyl è un problema, un enorme problema. E non solo per il mio paese, l’Ucraina, ma anche per tutti gli altri paesi del mondo. Ho visto tantissimo dolore, e mi duole parlarne. Ringrazio il Signore perché finalmente ho la possibilità di raccontare attraverso le immagini tutto quello che ho visto con i miei occhi in questi ultimi venti anni. Venti sono i paesi del mondo dove è stato pubblicato il mio libro. Sono lieto che finalmente la verità su Chernobyl sarà resa nota. Voglio ringraziare tutti quelli che hanno preso a cuore le problematiche relative al disastro, e ringrazio anche tutti i paesi che, dopo Chernobyl, hanno appreso la lezione vietando la costruzione di nuove centrali nucleari.
Per questo mi duole dover dare la notizia che due settimane fa, il 23 marzo 2006, il governo del mio paese ha approvato un piano che prevede la costruzione, entro il 2030, di ben ventidue reattori nucleari in territorio ucraino. È un fatto clamoroso considerando che la ferita di Cernobyl è ancora aperta e sanguinante. In Ucraina la bugia di Cernobyl è presente ogni giorno e ogni minuto: oramai è radicata nell’anima delle persone. Prego il Signore che restituisca la ragione a chi ha preso questa decisione e che il progetto non venga mai realizzato.
Quando esplose il reattore numero quattro gran parte delle scorie radioattive che erano al suo interno sono state letteralmente sparate sul soffitto del reattore numero tre. La dose di cinquecento röntgen l’ora viene considerata letale per un essere umano. Se vieni esposto a una dose del genere c’è il rischio che quando prendi un bicchiere in mano e poi lo lasci sul bicchiere rimangano i pezzi della tua pelle, della tua carne. Sul tetto del reattore numero tre c’erano dei posti dove il livello delle radiazioni raggiungeva la quota di quindicimila röntgen l’ora.
La commissione governativa che lavorava alla centrale aveva deciso inizialmente di ripulire il tetto del reattore numero tre ricorrendo all’aiuto dei robot, e infatti ne sono arrivati molti di produzione tedesca e giapponese. Dovevano essere manovrati a distanza, in modo che potessero rigettare tutte le scorie radioattive all’interno del reattore esploso. Purtroppo però non hanno potuto far niente a causa dell’alto livello delle radiazioni che faceva saltare i circuiti elettrici. Alcuni robot semplicemente si bloccavano e non riuscivano più a muoversi; altri invece impazzivano e si buttavano all’interno del reattore numero quattro; ce n’è stato uno che cadendo si è agganciato a un pezzo del tetto ed è stato possibile recuperarlo con l’utilizzo di un elicottero: alla fine, però, il robot è risultato comunque inutilizzabile.
Così hanno deciso di mandare sul tetto i cosiddetti robot biologici, che poi erano semplici soldati. Soldati che non avevano nessuno di quei mezzi di protezione che abbiamo a disposizione oggi. All’epoca si proteggevano con fogli di piombo che venivano ritagliati con le forbici e legati al corpo per proteggere almeno il midollo osseo, il cervello e i genitali.
I soldati salivano sul tetto in turni di 20-40 secondi, e nell’arco di questo tempo riuscivano a fare soltanto due colpi di pala e a raccogliere una piccolissima quantità di scorie radioattive.
Pensate alla situazione... incredibile... è inconcepibile che alcuni esseri umani abbiano mandato altri esseri umani a lavorare a mani nude e senza protezioni in mezzo a campi radioattivi dove la soglia di sicurezza superava di centinaia di volte il livello accettabile. E questo soltanto per liberare quel tetto dalle scorie.
Le foto che ho fatto a queste persone sono quelle che mi sono più care, perché a parte la loro unicità rappresentano proprio l’eroismo umano. Si tratta di nove fotografie che raffigurano i Liquidatori mentre si sacrificano senza porsi grandi problemi, senza ambizioni, soltanto perché quello che stavano facendo andava fatto.
Pensate che non si sa nulla del destino della maggior parte di questi eroi, un po’ per quello che è avvenuto nel periodo del dopo Cernobyl, un po’ perché erano soldati, e voi sapete bene che i militari cercano di tenere nascosti i loro segreti. Persino i loro nomi sono rimasti ignoti. Mi auguro che stiano bene, che semplicemente siano ancora vivi. Non si sa esattamente nemmeno il numero di queste persone: c’è un dato indicativo su un monumento a Kiev, una grande pietra con su scritto che è dedicato alla memoria di 500.000 soldati che hanno lavorato alla centrale di Cernobyl. Quando sono stati ultimati i lavori di costruzione del Sarcofago si è fatta una riunione a cui hanno partecipato i Liquidatori e i soldati dell’esercito. È stato incredibile, perché un alto ufficiale, rivolgendosi a loro li ha chiamati per la prima volta con il loro vero nome: «Io vi ringrazio» ha detto, «ringrazio voi che siete dei robot: robot Vanja, robot Petja...». Li ha chiamati robot, ed effettivamente lo erano stati, avevano fatto semplicemente quello che gli era stato chiesto di fare.
Tutti noi dobbiamo essere grati a quelle persone, perché sacrificando la propria salute e spesso la propria vita, hanno salvato tutti noi: senza il loro intervento le conseguenze sarebbero potute essere molto più gravi di quelle che sono state.
Mi inginocchio davanti alla loro memoria e mi auguro che coloro che sono ancora vivi siano in buona salute. Sento il dovere di farlo, e di raccontare a tutti quello che hanno fatto.
Io, come reporter, sono stato in diversi punti del mondo e ho visto molti avvenimenti tragici; quando torno a casa, come succede a molti reporter dopo una spedizione, e rivedo il materiale raccolto, spesso sono contento che il mio lavoro contribuirà a rendere nota la verità. Il bambino ritratto in questa foto si chiama Igor, come me. L’ho incontrato in uno dei molti orfanotrofi cosiddetti chiusi, perché erano specializzati nell’ospitare bambini con gravi malformazioni fisiche. Ricordo che l’istituto era strapieno, anzi, c’erano centinaia di bambini in attesa che si liberasse un posto.
All’epoca lavoravo per la nota rivista tedesca Stern, che fu la prima a pubblicare la foto di Igor. Ed è grazie a quella pubblicazione che un gruppo di medici inglesi si è interessato a lui: sono venuti in Ucraina e hanno deciso di trasferirlo in Gran Bretagna. E lì gli hanno fatto una serie di interventi migliorando notevolmente le sue capacità; gli hanno donato un’autonomia che Igor non aveva mai avuto. Oggi è vivo, ed è stato adottato da una famiglia inglese. È felice, per quanto possa essere felice una persona che vive con quei gravi difetti fisici. Comunque ha trovato un posto nel mondo, e quando gli mando gli auguri di Natale o per il suo compleanno, mi sento di aver compiuto una buona azione, che per una volta sono riuscito a salvare, facendo il mio lavoro, la vita e il destino di un essere umano in difficoltà.
Il lavoro di un reporter può essere utile. Anzi, sento che è proprio questo il dovere di un reporter, e sono orgoglioso di aver compiuto la mia missione almeno in questo caso.
E questa è la storia di una sola persona. Nel mio libro ci sono trecento fotografie e ognuna nasconde una storia. Potrei parlarne a lungo, anche se ricordare mi fa molto male.
Cernobyl... ritengo che se l’incidente fosse accaduto qualche anno prima, quando nel nostro paese la censura era rigidissima, probabilmente nessuno sarebbe mai venuto a conoscenza del disastro. In quel periodo si diceva che il nostro paese stava per costruire finalmente il comunismo e niente al mondo poteva impedire il suo passo largo verso un futuro radioso; chiaramente l’ideologia era al di sopra di ogni senso di responsabilità, al di sopra di ogni senso di umanità.
Poi è venuto Gorbačëv e ha avviato il processo di perestrojka; dobbiamo ringraziarlo per questo, per il fatto che ha fatto demolire il muro di Berlino e che ha tolto la cortina di ferro tra l’Unione Sovietica e l’occidente. Però, nel 1987, sono venuto a conoscenza dell’esistenza di una lettera molto segreta che non doveva essere resa nota a nessuno. Leggendola ho capito che Gorbačëv ha sì portato un cambiamento significativo, ma che allo stesso tempo era un uomo del passato. Erano i tempi oscuri del regime comunista, e chiaramente nemmeno lui poteva cambiare radicalmente le cose. Le informazioni sono state censurate, si lasciava trapelare solo quello che a parere del partito non costituiva alcun pericolo all’ideologia. Purtroppo è così anche oggi: ci sono ancora politici che si permettono di decidere quello che può essere detto e quello che non deve essere detto. Mezza verità, mezza menzogna.
Un’ulteriore conferma a quello che ho appena detto sulla censura è il fatto che questo libro esce in Europa e in America ma non da noi, nel mio paese. Chi sta al potere non vuole sapere, non vuole ammettere.
Gorbačëv merita di avere un monumento adesso che è ancora vivo perché di meriti ne ha molti, ma non possiamo ignorare i suoi silenzi. Io sono un reporter, non posso né cambiare la situazione né commentarla più di tanto, posso solo documentarla e rendere noto quello che vedo con i miei occhi. A Cernobyl è avvenuta una catastrofe di proporzioni enormi e ad arginare il disastro non sono state le macchine o la politica, ma gli uomini semplici che hanno impedito alle radiazioni di fuoriuscire e contaminare il territorio circostante. Vorrei un futuro migliore, un futuro dove ci sia il sole, la serenità. Fino a poco tempo fa, quando battevo i denti, non sentivo nessun suono: mi restava in bocca soltanto il gusto amaro del piombo. E questo era causato dall’effetto delle radiazioni.
La tragedia di Cernobyl non ha una scadenza temporale; dobbiamo impegnarci a mantenere vivi i ricordi, anche se ci fa male. Cernobyl è un campanello d’allarme che deve continuare a suonare. Quello che è accaduto deve servire da lezione per le generazioni future.
Sono sicuro che l’umanità non dimenticherà, perché quello che è successo non può essere dimenticato. Il 27 aprile ci sarà la presentazione del mio libro al congresso degli Stati Uniti: anche lì il campanello continuerà a suonare.
Io sono di origine moldava, e noi moldavi diciamo che siamo nati per vivere, e questo la dice lunga sul mio atteggiamento nei confronti della vita. Devo dire che di danni fisici ne ho avuti tanti, però ho cercato di non badarci più di tanto. L’importante  è non lamentarsi, ma vivere e godere.
Molti di quelli che sono stati insieme a me a lavorare alla centrale ormai non ci sono più, altri purtroppo sono abbandonati a se stessi. Anche a me è successo. E più di una volta. Stavo male e nessuno si ricordava della mia esistenza, nessuno si preoccupava di alzare la cornetta e di chiamarmi per chiedermi come stavo, come andavano le cose. Nonostante tutto non mi sono mai lasciato andare. Ho sempre pensato positivo: solo così sono riuscito a migliorare. E ho imparato la lezione, una lezione che mi dà la forza di andare avanti, di costruire un futuro migliore per me e per la mia famiglia.
Bisogna cercare di convincersi che tutto quello che succede accade per il meglio, solo così si riesce a superare una tragedia come quella di Cernobyl. Non appena incominci a convincerti del fatto che stai per morire il rischio che tu muoia aumenta. È la cosiddetta sindrome di Cernobyl. Bisogna invece pensare positivo. E se vi capita fatevi un goccetto di vodka, che rende più allegri. Sono convinto che avremo un futuro migliore del passato. Per quanto mi riguarda non mi vedrete mai star male, o lamentarmi. Ho settant’anni, una figlia che ha quattro anni e tre mesi, e vi assicuro che voglio vederla crescere, voglio vederla sposarsi, e soprattutto voglio conoscere il suo futuro marito.

Igor' Kostin
2006 

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