martedì 1 marzo 2011

JURIJ - ЮРИЙ

Autore: Carlo Spera
Tratto da: 
“Viaggio al termine della notte.
20 anni dopo l'esplosione della centrale di Cernobyl”
Casa editrice: ViediMezzo
Data: 2006

Автор: Карло Спера
Из: 
Путешествие на край ночи
20 лет после взрыва на ЧАЭС”
Издательство: ViediMezzo (Италия)
Дата:
 2006
 г.
К сожалению, русского оригинального текста интервью нет.


JURIJ

Primario del reparto oncologico dell’ospedale e capo della cattedra universitaria di oncologia all’università di Minsk

Lo scopo del vostro lavoro è serio: sono passati diciannove anni ed è impossibile non accorgersi che l’interesse su Cernobyl è scarso. Penso che un libro possa essere una bella cosa perché susciterà l’interesse della gente. Chernobyl è stata una tragedia di livello mondiale. Sarebbe potuto succedere in qualsiasi altra parte del mondo. Ci siamo capitati noi, e ci dispiace. È stata una tragedia, nessuno di noi era pronto a reagire, non sapevano cosa fare. La Bielorussia era un vero e proprio pronto soccorso.

Per tanti anni ho lavorato in Giappone e ho notato che i giapponesi sono molto interessati a ciò che è successo qui da noi. Dicono che se fosse successo lì da loro non sarebbe sopravvissuto nessuno. Questo perché non avrebbero avuto i posti in cui trasferire la popolazione colpita. Vogliono conoscere a fondo la nostra esperienza, vivono in un paese dove ci sono circa cinquanta centrali atomiche. Il rischio, per loro, è alto. Io posso raccontarvi ciò che riguarda la salute; posso darvi delle informazioni scientifiche; raccontare cosa so io di Cernobyl, la mia esperienza emotiva. La mattina successiva all’incidente sono arrivato al lavoro e i dottori incaricati di fare le diagnosi isotopiche mi hanno detto che non potevano lavorare perché la radioattività nell’atmosfera superava di gran lunga quella che loro immettevano nei pazienti. Nessuno, in ospedale, era in grado di dare un consiglio: io mi sono limitato a suggerire di consultare gli organi sanitari. Purtroppo neanche loro sono stati in grado di dirci cosa era successo. Questo nelle prime ore della mattina. Poi, verso mezzogiorno, è venuto a piovere e il tasso di radioattività nell’atmosfera è calato. Ora sappiamo che si trattava di isotopi leggeri, iodio centotrentanove e iodio centodiciannove, ma allora non ci spiegavamo il fenomeno. Tre giorni dopo uno speaker televisivo ha detto che era avvenuto un incidente alla centrale nucleare di Cernobyl. Allora ci siamo resi conto del perché ci fosse tutta quella radioattività: Cernobyl non era lontano. Subito abbiamo iniziato a somministrare alla popolazione farmaci che contenevano iodio. Ma era già troppo tardi. L’assorbimento dello iodio centotrentuno è molto veloce e nell’organismo umano si concentra, accumulandosi, in un unico organo: la tiroide. E la Bielorussia è già di per sé una nazione dove c’è poco iodio, soprattutto nel sud! Sarebbe stato necessario fare la profilassi a tutta la popolazione, ma per problemi economici è stata fatta in modo insufficiente. Perciò le tiroidi hanno assorbito immediatamente lo iodio nell’atmosfera; ma era iodio radioattivo.

Si trovava nell’atmosfera, lo iodio, nell’aria, ma anche sui prodotti dell’agricoltura, sulle verdure, sui frutti e sull’erba che mangiavano le mucche. Ed è per questo che il latte era radioattivo. E i consumatori di latte sono soprattutto i bambini! Quando lo iodio è decaduto, dopo circa ottanta giorni dal disastro, abbiamo pensato che il problema era risolto. Un gruppo di esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità è venuto in Bielorussia e ha iniziato a studiare la situazione: alla fine, nel loro referto, scrissero che andava tutto bene, che stavano tutti bene! E infatti nei primi quattro anni la situazione è stata abbastanza buona. Solo dopo ci siamo resi conto che i casi di cancro alla tiroide erano aumentati. Soprattutto nei bambini. Già di per sé il cancro è una patologia molto rara nei bambini, ma quello alla tiroide lo è ancora di più. La media europea è mezzo caso su un milione. Qui da noi in un anno, precisamente nel 1990, si sono registrati ventinove casi. L’anno dopo il numero è salito a sessantasette; l’anno dopo ancora a cento. Cento bambini malati di tumore alla tiroide nella sola Bielorussia. E il nostro è un paese piccolo, i bambini sono pochi. Su due milioni di bambini ci aspettavamo da due a quattro casi, mai ci saremmo sognati che il numero sarebbe salito a cento. Così ci siamo resi conto che la crescita della malattia era enorme ed è stato subito chiaro che la causa era l’incidente di Cernobyl. Quindici anni fa era molto difficile trovare delle prove che attribuissero la responsabilità alle radiazioni, ma gli scienziati si sono impegnati per dimostrarlo e adesso è possibile affermarlo con certezza. È stato un periodo difficile. Noi avevamo registrato il fenomeno ma l’agenzia internazionale atomica, con sede a Vienna, non voleva ammettere l’esistenza del problema. È comprensibile: loro devono sempre dire che va tutto bene, che non ci sono pericoli per la salute, che l’esistenza di queste centrali non causa nessun disagio, nessun dolore. Oggi, il fatto che non sia così, è certo. E non si discute.

Il cancro alla tiroide era una malattia molto rara prima del 1986. Fortunatamente l’aumento della malattia non ha segnato un aumento dei decessi. Ci sono tante persone malate di cancro alla tiroide in Bielorussia, ma anche tante persone che vivono senza la tiroide, cioè che sono state curate e non sono decedute. Il numero delle persone che vivono senza tiroide è questo: 12.136. Ma il fatto che tanta gente sopravviva non significa niente. Semmai solo che il problema oltre che medico è sociale. Queste persone hanno comunque bisogno di cure, di fare riabilitazione.

Il problema più grave è che ci sono tanti bambini e adolescenti che continuano ad ammalarsi. In Bielorussia, prima dell’incidente, la media era la stessa che nel resto d’Europa. Oggi nel mondo ci sono novecento bambini malati di cancro. In alcuni stati la percentuale è quasi pari a zero. Da noi, invece, il numero è novecentotrentasei, più alto che in tutto il resto del mondo.

E poi c’è un altro fattore importante, ed è di natura geografica. Quasi tutti i bambini malati vivono nella regione di Gomel’ e di Brest, le zone più colpite dal fallout radioattivo.

Il problema, se ho capito bene, si riversa su quelli che erano piccoli al momento dell’incidente e adesso sono in età riproduttiva. O meglio, sui loro figli.

Sì, è così. I soggetti più sensibili alle radiazioni sono i bambini da zero a cinque anni. Gli americani dicono che la diagnostica è diventata più moderna, più avanzata, ed è per questo che si è registrato un aumento del cancro così notevole. Non voglio fare polemiche, però nella regione di Gomel’ su centoquarantaquattromila analizzati trecentonovantatré avevano i noduli e tre il cancro. Comunque sia il risultato della radiografia non è importante, non è diagnostico. Da poco tempo è sorto un ulteriore problema: come ci si deve comportare se una donna incinta ha il cancro alla tiroide? Alcuni dottori dicono di interrompere la gravidanza e curare il cancro; altri che è giusto operare la donna anche se è incinta; altri ancora, come me, che bisogna far partorire la donna e poi curare sia lei che il bambino. Ognuno adduce degli argomenti seri alle proprie argomentazioni, però io credo che nel fare una scelta del genere, cosa che capita sempre più spesso, si debba partire dal presupposto che di tumore alla tiroide non muore quasi più nessuno.

Sono contento che lei scelga la terza ipotesi, perché così facendo dimostra di avere fiducia nelle cure.

Sì, ho molta fiducia nella cure. Ho dimostrato che quasi nessuno muore. Per tornare agli americani: loro dicono che in Bielorussia è molto diffuso il cancro di per sé, ma io sono sicuro che non è così.

Ma gli americani dicono un sacco di stupidaggini.

Abbiamo imparato a curare il cancro dieci anni fa e da allora abbiamo fatto tutto il possibile, anche se non avevamo né soldi né personale. Ci siamo impegnati a istruire tanti dottori: il numero di coloro che si sono recati a studiare in Europa o in Giappone è molto alto. Il nostro stile di cura è una miscela di stili diversi: francesi, italiani ecc., abbiamo preso il meglio e così abbiamo raggiunto un alto livello di preparazione e competenza.

Avete tutto ciò che vi serve per lavorare?

Sì, abbiamo tutto.

Dove si trovava quanto è esplosa la centrale?

Ero qui in ospedale.

Qual è stata la sua reazione?

Mia moglie è un medico. Ci siamo conosciuti proprio nel 1986. Ad aprile volevo già sposarla! Quando è esplosa la centrale l’ho chiamata al telefono e le ho detto di non uscire di casa. Lei mi ha chiesto il perché e le ho risposto che c’era un tasso di radioattività molto alto nell’aria. Non mi credeva. E in effetti era impossibile crederlo. Dopo un po’ sono riuscito a convincerla a non uscire di casa e a non aprire le finestre. Anche gli altri medici non ci credevano. È stato difficile farli rendere conto della gravità della situazione. Ho avvisato tutti quelli che conoscevo, tutti quelli che mi è stato possibile avvisare.

Veniamo dalle zone contaminate, siamo stati lì per documentare la situazione e per parlare con coloro che hanno deciso di continuare a vivere lì. Da medico, come se lo spiega?

Non so spiegarlo, è un fenomeno sociale inspiegabile. Molti evacuati hanno costruito le case qui a Minsk… vengono a Minsk e poi tornano indietro. Qualcuno dice che non trova lavoro. La gente non capisce.

E l’alcolismo? È realmente una piaga sociale?

Ecco perché una persona non riesce a trovare lavoro.

Troppo spesso nel mondo curarsi significa tirar fuori dei soldi; qui com’è la situazione?

Da noi le cure mediche sono tutte a carico dello stato. Il paziente non paga niente. In Bielorussia ci sono troppe persone povere che non riescono a pagare niente. Se prendiamo un contadino di un villaggio sperduto della repubblica per lui mille dollari sono un mucchio di soldi, un patrimonio; un’operazione costa tremila dollari. Come potrebbero pagare loro?

Intervista di Carlo Spera

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